Interviste

 

JAZZITALIA
Febbraio 2009 

 

Intervista a  Peppe Consolmagno


di Fabrizio Ciccarelli

Photo by Gianfranco Rota

Peppe Consolmagno, percussionista riminese, utilizza strumenti in gran parte autocostruiti con materiali recuperati nei suoi viaggi, come la zucca, il bambù, il legno ed il metallo. La sua musica si esprime attraverso strumenti che appartengono a culture extraeuropee, come quella del Brasile (sua principale fonte di ispirazione), dell'Africa e dell'Asia, ma che hanno un linguaggio in comune. Il Gong birmano, la Conchiglia, le Tazze da meditazione, i Vasi africani, i Flauti ad una nota pigmei, i Tamburi ad acqua ed il Berimbau, uniti alla voce ed allo stretto rapporto intimistico con essi, che egli ha, creano una dimensione unica dove prevalgono il suono naturale, il silenzio, il timbro ed il ritmo. Consolmagno ha già al suo attivo partecipazioni da protagonista a Festivals internazionali, tra gli altri "Umbria Jazz", "Festival Internazionale del Jazz a Montreal in Canada", "Jazz o Brasil" a Parigi, RAI "RadioTre Suite", "V° World Music Festival" a Roma, "Musica dei Popoli" a Firenze, Festival Womad, Fandango Jazz Festival – La Palma a Roma, Festival International de Sousse in Tunisia, Festival Banlieues Bleues a Parigi. Ha una intensa attività di ricerca musicologica, che lo ha portato e lo porta a tenere seminari e workshops sulla musica extraeuropea e sulla costruzione degli strumenti a percussione, che tra l'altro egli stesso costruisce per Nanà Vasconcelos, così come per Cyro Baptista, Trilok Gurtu, Glen Velez, Flora Purim, Duduka Da Fonseca e Paolo Vinaccia, su loro richiesta. Attraverso il suo lavoro come giornalista e le sue interviste a famosi musicisti, egli intende dare voce allo stile ed alla linea di pensiero che lo accomuna a loro.Ha collaborato con altre forme di arte (teatro, pittura, scultura, poesia, danza), Istituzioni (Università e scuole), e media (radio e Tv: Rai, Canale 5, Video Music). E' tra i vincitori del Festival Arezzo Wave '95. E' stato socio Sidma e tiene relazioni come critico musicale.

Un musicista senza dubbio stimolante e disponibile ad ogni forma di dialogo, non solo di tipo musicale…

A che punto sei con la tua ricerca sonora?

In eterno movimento! Costruire i miei strumenti per me non è solo una cosa fondamentale, ma profondamente vitale. Sono oggetti sonori e per me è importante conoscerli, passare per le loro fibre, ascoltarli, dialogare con loro ed emozionarsi. Tutto suona è vero, ma un buon strumento è necessario farlo entrare in musica perché egli stesso è musica. La ricerca del suono mi ha sempre caratterizzato. Ritengo che uno strumento deve produrre un gran bel suono acusticamente, ma è necessario riuscire a farlo suonare bene anche davanti ad un microfono, sia in studio che live.

Photo by Luca ToniChe differenza trovi in questo?

Spesso alcuni fanno il contrario, si lasciano prendere dalla forma di uno strumento, apparentemente anche dal suono dello strumento, poi quando è il momento di metterlo in musica si sente che non riesce come dire, ad entrare. A me piace fare in modo che il suono che ho creato si possa riuscire ad ascoltare in contesti completamenti diversi, portando la stessa emozione e soprattutto la mia intenzione. Mettere qualcosa in musica è un privilegio e si deve fare con grande dignità.

Una filosofia del suono?

Ho sempre pensato, e più tempo passa più questa idea matura, che il suono è il vero veicolo di emozioni. Quando in musica faccio cose sottili, faccio rifermento ai simboli, pertanto ai ricordi e alle esperienze. Per questo motivo non gradisco le parole, rumori e effetti. Che poi rumore è quello che disturba, ma cosa è quello che disturba realmente? Se il rumore lo si fa entrare in musica diventa suono e quindi ecco che tutto si ribalta. Ho sempre dato grande importanza anche alle custodie personalizzate per i miei strumenti. Con grande cura li metto a riposo, con grande cura li trasporto e con altrettanta cura preparo il set sul palco. E' un rituale che mi accompagna sin dall'inizio della mia attività di musicista. Preferisco costruire strumenti importanti, ma anche facilmente trasportabili. Il problema del trasporto non è una cosa di poca considerazione, ci sono strumenti veramente interessanti, ma muoversi con loro è veramente complicato, non tanto per l'ingombro che di per sé sarebbe già un problema, ma per i costi. Tutti vogliono tutto senza spendere niente. Si fa presto a chiedere di bravi musicisti, buona musica, progetti originali, spettacolarità, ma quando si parla di quattrini all'improvviso tutto diventa meno interessante...Viaggiare con molti strumenti come ad esempio in aereo, implica all'organizzatore un costo aggiuntivo che spesso non considera o non vuole considerare. In realtà il problema c'è e non è indifferente. Spesso i flight cases pesano 20-25 kg vuoti si fa presto ad intuire che se ad ogni kg viene chiesto un tot, tanti tot portano all'equivalente di un passeggero in più...insomma…

Si parla molto di location per le esibizioni musicali, va un po' di moda, ma sono d'accordo con te che il luogo possa ispirare e/o richiedere una preparazione al concerto del tutto particolare, uno studio "geometrico", acustico, ambientale…

Chi organizza un festival o una rassegna deve pensare bene alla collocazione fisica del concerto all'interno di una struttura, partendo dal genere musicale che propone, e se è all'aperto deve considerare maggiormente l'acustica del posto, le interferenze acustiche: strade di percorrimento vicine, negozi, percorsi pedonali, ferrovia, campane, palazzi di fronte al palco che spesso provocano ritorni sgradevoli, la…pioggia…come riparare gli strumenti musicali e quelli del service audio video in caso di pioggia improvvisa e soprattutto nel caso di pioggia minacciosa avere già pensato per tempo ad un luogo adeguato al chiuso. Contestualizzare è un termine che mi appartiene e mi piace. Quando vengo chiamato per un concerto la prima cosa che voglio sapere è in quale contesto vengo inserito, il luogo, la capienza, l'acustica, il tipo di festival, il service e il fonico. Non dico che il luogo vada creato appositamente, ma semplicemente di cercare luoghi adatti al tipo di musica che chi organizza vuole proporre, tenendo conto delle esigenze e del tipo di musica che fa il musicista che viene invitato. Queste informazioni mi permettono di "essere già lì", di pensare come muovermi, come poter interagire con l'ambiente e con il pubblico. Questa mia necessità si è sempre rivelata utile e più le informazioni sono corrette, più il concerto va bene.
Se uno strumento suona bene e si sente bene, arriva al pubblico, soprattutto arriva la tua intenzione. Non ho mai creduto che il pubblico non capisce niente, anzi! Bisogna tener presente che salire sul palco è un privilegio e che il pubblico va omaggiato, va coinvolto, senza spiegare niente. Le parole vanno bene qui, mentre in musica è lo spazio e il silenzio che permettono a chi ti ascolta di sognare, di immaginare, di riflettere, di emozionarsi e ognuno a suo modo.

Condivido del tutto la tua opinione: il contrario avviene, purtroppo, molto spesso; questo il motivo, probabilmente, per il quale certe esibizioni risultano gelide se non stranianti o noiose.

Penso proprio di sì. Se la musica non passa per il cuore, non è musica.

Quanto jazz è rimasto secondo te nel panorama musicale?

Mah, non so. Per alcuni molto, per alcuni è scomparso. "Jazz" è un termine così vasto, ma pone spesso molti limiti e ghettizzazioni, quindi come ci sto dentro cerco di uscirne fuori, preferisco stare nelle zone di confine che per loro collocazione sono aperte, recettive, creative, dove lo spazio è unito ritmicamente dal silenzio. Quello che mi piace del jazz è la possibilità di poter improvvisare e di poter rielaborare qualunque musica con intelligenza e raffinatezza.

Come definiresti la tua musica? Se io dicessi "world" direi tutto e niente, se facessi riferimenti alla New Age sarebbe troppo riduttivo. Proviamo a dare i confini del tuo sound….un sound di confine?

Photo by Elio GuidiMah! ti dirò che musica di confine…mi suona bene. Suonare per me è come viaggiare, conoscere persone nuove, mantenere la propria identità, ascoltare e interagire. Quando incontro altri musicisti non penso subito a suonare, di fare body building sul palco, ma preferisco chiacchierare, magari a tavola, conoscersi, sapere che ci si può trovare a suonare insieme anche senza aver fatto prove prima. Rispetto della propria persona, rispetto dello spazio senza grosse imposizioni, ascoltare e seguire l'idea di uno e far entrare la tua. Usando la tua definizione, è saper riconoscere i propri confini e quelli degli altri, essere consapevoli dove finisce il tuo essere musicista e dove quella dell'altro. Ti faccio un esempio di come è nato il cd "Vasconcelos, Salis, Consolmagno" [Cajù Records, 2005, N.D.R.]: Nana mi propose di suonare in trio con lui e Antonello Salis. Loro due avevano già suonato insieme oltre venti anni e fecero un magnifico cd dal titolo"Lester". Io avevo già fatto alcune piccole esperienze con Nana ma non avevo mai suonato con Antonello. Ci trovammo a Roma in un bellissimo festival [Fandango Jazz Festival – La Palma, 2004, N.D.R.] per il primo concerto del trio. Nessuna prova fatta insieme fino a quel giorno, nessuno scambio di brani, niente di niente. Ci furono messe a disposizione solo un'ora e mezza per fare le prove prima del concerto. Capisci…un'ora e mezza…fu giusto il tempo per creare la scaletta del concerto. Nana disse: "inizio io con due brani (suoi storici:"Berimbau" e "Vamos pra Selva"), poi? Peppe cosa pensi di fare?" accennai il mio brano "Lion Heart" dedicato a mio figlio e Nana disse: "Perfetto!", Antonello mi chiese di fargli sentire la tonalità e come si sviluppava il brano, pochi cenni e via avanti così per tutta la scaletta…Siamo saliti sul palco, abbiamo suonato e il concerto è diventato un Cd di cui vado molto fiero, pubblicato dalla Cajù Records.

Quali i tuoi progetti per il futuro?

Suonare, suonare e suonare. Ho inciso da poco due cd che usciranno nel 2009. Il primo di Daniele Pasini, flautista sardo di valore e figlio d'arte, il padre organista, la madre pianista e il fratello violista. Registrato a Elmas in provincia di Cagliari in una bella atmosfera e con bravi e giovani musicisti del posto, basso, contrabbasso, batteria, flauto ed io. In due brani ha suonato anche mio figlio Leonardo di sei anni e ne vado fiero.

Perché questa scelta? I bambini possono dare un cromatismo particolare? La loro interpretazione è del tutto singolare, al di fuori – spesso – degli schemi, soprattutto spontanea ed improvvisata, non mediata dalla razionalità. Ma allora non è un po' jazzistica?

La mia è una scelta affettiva principalmente. Mio figlio è abituato a seguirmi nei miei concerti e viaggi, è molto rispettoso, conosce molto bene le cose che faccio e come le faccio, con lui ho una parte di me che mi porto dietro. Il lavoro con Daniele Pasini si è rivelato un'eccellente occasione dal momento che la musica stessa che si andava a fare era molto libera. Pasini si è ispirato al concerto per flauto e orchestra di J.Ibert, ma ognuno ha navigato dentro e fuori dalla sua intenzione con le proprie idee. Inserire mio figlio è come aver inserito una voce, un mio pensiero, è come aver lavorato con quattro mani. Il suo inserimento non è stato programmato, si è avvicinato al set durante la registrazione e tutti quanti abbiamo colto l'occasione al volo, si è seduto sul mio tappeto gli ho dato alcuni strumenti in mano e via. Il momento che si è creato è stato veramente un momento singolare, spontaneo e improvvisato…questo modo certamente si lega la mondo jazzistico ed è questa una maniera in cui ci sto volentieri e mi sento a mio agio. L'altro Cd è con l'Orchestra Orizzontale, un doppio quartetto capitanato dal sassofonista, anche scrittore e pittore, Antonio Marangolo con cui collaboro da 18 anni e legati da profonda stima. Dovrà far parte di un cofanetto molto interessante contenente un libro e tre cd, il primo con il Marangolo Quartetto Orizzontale di cui ho fatto parte e che ha avuti grossi consensi anche al Festival Internazionale di Jazz a Montreal nel 1990, il Quartetto Orizzontale quasi Verticale, di cui non ho fatto parte e per ultimo l'Orchestra Orizzontale, reduci dalla prima del gruppo al Ovada In Contemporanea Festival. Non vedo l'ora di avere in mano il cofanetto e di suonare presto con loro. Ultimamente mi stanno arrivando diverse proposte di collaborazioni anche discografiche con artisti interessanti, spero di potertene parlare meglio presto. In questo periodo sto facendo le prove con un folto e valido gruppo di musicisti per un omaggio a Santana.

Perché proprio Carlos Santana? Ha dato parecchio al rock, anche se più di una volta si è lasciato prendere dal business, anche un po' troppo…

Questo gruppo è nato dalla voglia dell'amico pesarese Riccardo Gravagna, grandissimo appassionato di musica e in particolar modo di Santana. Ha chiamato vari musicisti tutti amici da tempo e che provengono da esperienze diverse, una bella occasione per vederci e per suonare insieme. Come sai spesso nella propria città non si suona mai con i colleghi del posto, finalmente avremo una buona occasione con una serie di concerti estivi.. Ho progetti molto interessanti che meritano di suonare molto di più come il gruppo Ishk Bashad il supertrio con Nana Vasconcelos e Antonello Salis.

Che significato assume, secondo te, il "villaggio globale" di cui tanto si parla, sia a livello artistico che politico? In altre parole: oggi la musica è meno definita di una volta, troviamo tracce di nepalese nel rock, di maghrebino nel jazz, di gitano nel pop… "tutto nel tutto", insomma. E' sempre un fatto positivo perché significa che più culture interagiscono…Tutti in ogni luogo (cinesi a Roma, albanesi a Milano, pachistani a New York, americani in Polinesia, italiani in VietNam, e via dicendo): questo secondo alcuni potrebbe creare, di fatto, problemi di ordine antropologico e non solo...

Non so è un problema che mi sono posto in altra maniera. Dipende come vengono usate le cose, come si conoscono, che valore si dà loro. Il Brasile è costituito da un triangolo di tre colori, giallo, bianco e nero: Indios, europei, africani. Di per se la mistura è bella che fatta. Oggi, dopo tanti anni di fatiche, di battaglie sui diritti etc., finalmente c'è un bel equilibrio che fa la vera bellezza di quel paese. Pensando alle influenze musicali, gli indios avevano la loro, i bianchi quella considerata erudita e quella tradizionale, gli africani quella dell'Africa centrale ma anche quella araba. Pensando agli strumenti, basti pensare al pandeiro (tamburo a cornice con sonagli brasiliano), le sue origini sono nordafricane, passate per i paesi bagnati dal mediterraneo come l'Italia e la Spagna per poi approdare in Brasile. In ogni paese questo strumento ha nomi differenti e diverse sono le maniere di costruirlo e di suonarlo. Ognuno se lo è fatto proprio, lo ha inserito nella propria musica e l'integrazione è molto ben riuscita. Negli anni 80 c'era molto la voglia di inserire sonorità lontane, vero che a quel tempo era sufficiente la sonorità per creare effetti "particolari". Oggi non è più possibile, si viaggia rapidamente e ancora di più velocemente con internet, tv, etc.. Il procedimento di conoscenza è accelerato e ci sono in giro per il mondo troppi magnifici musicisti specialisti del proprio strumento, pertanto ora bisogna solo inserire l'autentico. Il problema di creare "marmellate" rimane comunque lo stesso e viene superato e innalzato nel suo valore solo se le diverse realtà come anche quelle musicali riescono a coesistere, se sono basate sul rispetto di ciascuna, su come interagiscono tra loro. Questo processo di integrazione rimane più facile se ogni realtà inserisce la sua vera forma, la sua vera originalità. Si parlava tempo fa in musica di contaminazione…una parola che di per sé sa di sporco, di infetto, di inquinante, si dovrebbe parlare di confluenza, di commistione, no? Secondo me ognuno deve essere se stesso e saper confrontarsi con chi ha davanti. Rimanere autentici, rispettando e facendosi rispettare. E' un fatto di distanze, di spazio, per poi confluire uno nell'altro. Se una brasiliana cucina un suo dolce tipico e per accontentare i suoi ospiti italiani, mette meno zucchero, indebolisce i sapori, ecco che non è più un dolce brasiliano, gli ospiti sono apparentemente contenti ma nella loro memoria rimarrà ben poco di quella esperienza. Allora cosa serve? Non è meglio che cucina in maniera autentica, sapendo che troverà nell'immediato non troppi apprezzamenti e tante critiche, ma a lungo andare l'autenticità rimane nel codice delle persone, pian piano matura e si affina nel tempo e prima o poi quelle stesse persone saranno veicolo di quello che hanno conosciuto.

Cosa ne pensi dei tentativi musicalmente "polimorfi" di Peter Gabriel o di David Sylvian o, in tempi passati, del jazz di John Coltrane, Mongo Santamaria, Miles Davis, Keith Jarrett, Art Ensemble of Chicago, Ahmad Jamal e via dicendo?

Per certi aspetti sono stati tentativi molto validi. Quelli di Peter Gabriel hanno dato molta visibilità a tanti musicisti e questo è un lato positivo, dall'altro costringendoli ad aggiungere un "bit" accattivante, più rock se vuoi, più popolare, meno. Nell'ambito jazzistico invece c'è più purezza, più eleganza, più voglia di confronto. Un musicista ha bisogno di entrambe. Certo, dipende quale è il suo punto di partenza. Io preferisco stare e mi sento più legato all'ambito jazzistico per poi ampliare il mio bagaglio e la mia voglia di sentirmi mentalmente più "libero". Miles Davis come anche Joe Zawinul, sono state vere scuole. Aver suonato con loro ha dato veramente visibilità. Spesso sono stati veri momenti frenetici e convulsi, mi riferisco all'aspetto umano e non di riuscita musicale, dove il musicista sapeva cosa voleva dire accettare l'incarico in termini di notorietà, ma doveva essere ben preparato a stare a contatto con il "fuoco". 

                                                                                                                                                                                                                               Fabrizio Ciccarelli


 

Jazzitalia - Febbraio 2009

 

 

Giuseppe) PEPPE CONSOLMAGNO 
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