Interviste

 

Rivista PERCUSSIONI
anno 13, n. 129, maggio 2002 - pagg. 36/42

 

NANA VASCONCELOS E PEPPE CONSOLMAGNO

Foresta e città, suoni del mondo

di Mario A. Riggio

 

Nana Vasconcelos è forse il percussionista più popolare al mondo: da vent’anni è il protagonista delle classifiche di gradimento dei lettori delle riviste specializzate americane, inglesi e francesi...
Ma Nana non è solo popolare, è anche un innovatore che ha espanso i confini della percussione, allargandola a tutto ciò che emette un suono: la natura, l'elettronica, il corpo umano, sono i campi dove Nana ha sperimentato, rimanendo però sempre ancorato alla tradizione musicale brasiliana, alle sue origini, alla musica. Questo è il punto, la musica. Chi assiste a un concerto di Nana non trova un percussionista, ma un’orchestra di un uomo solo che suona canzoni utilizzando gli strumenti più strani e il pubblico che diventa a sua volta orchestra.
Percussioni ha incontrato Nana in occasione di un concerto a Firenze, organizzato nell'ambito della rassegna "Percussionistica", in cui il musicista brasiliano ha diviso il palco con Peppe Consolmagno, da molti considerato il suo Alter-ego italiano. Anche Peppe, infatti, ha posto il fulcro della sua ricerca sul suono, superando i classici linguaggi delle percussioni per creare un percorso sonoro completo. La differenza tra i due è certamente culturale: Nana ha alle spalle l'immensa tradizione della musica brasiliana, mentre Peppe sembra avvicinarsi più ai rumori della nostra civiltà urbana, sviscerando le complesse riflessioni che nascono dal contrasto fra il desiderio di meditazione e la velocità schizoide dell'uomo del XXI secolo.

PERCUSSIONI: Soddisfatto del concerto?Nana Vasconcelos e Peppe Consolmagno a Firenze 2001

PEPPE CONSOLMAGNO: Sono molto felice che la cosa si sia conclusa molto bene, che Nana sia stato qui, che il concerto sia andato benissimo. Sono contento anche perché tutto questo ha sfatato, grazie al mio impegno, una brutta leggenda sulla sua inaffidabilità: prova a chiedere a qualche organizzatore come mai un musicista non arriva… Se non ti basta ti posso spiegare cosa è accaduto nelle volte precedenti e nello specifico con questo concerto… Era la prima volta che suonavamo sul palco così a stretto contatto” – spiega il percussionista italiano – “L'interazione con Nana è stata ottima, la cosa curiosa è trovarsi a suonare con alcuni strumenti praticamente identici. Se avete notato, infatti, nella performance con cui ho introdotto Nana sul palco, ho eseguito miei brani dove non uso gli strumenti che Nana ha usato nella sua performance, e questo l'ho fatto sia per rispetto, sia per ampliare le possibilità di utilizzo di certi strumenti a percussione.

P: Siete due percussionisti che si allontanano decisamente dagli stereotipi odierni. Da dove nasce il vostro lavoro di ricerca?

NANA VASCONCELOS: Io sono un musicista che ama improvvisare, vengo da un movimento di improvvisatori, di cui facevano parte persone come Don Cherry, a cui piace fare musica senza compromessi. Sono tranquillo, vado oltre gli stili, posso suonare da solo o con una grande orchestra. Io sono sempre lì, libero anche quando suono con l’orchestra.
P.C: Il mio lavoro di ricerca nasce dalla curiosità che ho sempre avuto verso i materiali, le fibre che costituiscono gli strumenti, e dalla necessità di entrare in stretto rapporto con loro. Amo, come dice Egberto Gismonti riferendosi ai brasiliani, parlare per pensare. Per me è importante lasciare parlare gli strumenti e far cantare le parole. Ho sempre cercato una strada personale, ricordo di aver usato solo una volta un set abbastanza tradizionale. Anche se ho studiato i ritmi afrocubani, ho ascoltato musica indiana e soprattutto sono legato al Brasile, un paese che conosco piuttosto bene, in effetti non suono nessuna di queste musiche, anche se uso spesso parole in portoghese brasiliano.

P: Nana, tu basi molto del tuo lavoro di ricerca sui suoni del tuo mondo: la foresta amazzonica e la canzone brasiliana.

N.V: Mi piace molto raccontare delle storie attraverso il mio lavoro. L’Amazzonia, la regione della foresta pluviale, è una riserva di vita e sapienza ed è una grande fonte di ispirazione per le sue sonorità straordinarie, gli uccelli, gli animali, ma specialmente mi affascina quando piove, è un fenomeno fantastico, con l’acqua che cade fra le piante e arriva nel fiume, nel Rio delle Amazzoni.
Il Brasile, come tanti altri paesi, è un posto dove la musica è parte della vita, c’è al mare, sugli autobus, allo stadio, è musica dappertutto. Questo è molto importante per dimenticare i problemi sociali, che sono tantissimi. 

P: Peppe, tu sei più orientato verso il suono urbano, i metalli, la voce, i rumori del mondo contemporaneo. Vedi un parallelismo con il modo di fare musica di Nana?

P.C: Certamente! Io e Nana abbiamo una concezione della percussione non intesa come dimostrazione di ritmi, di body building, ma un'idea di usare gli strumenti a percussione come un'orchestra. Nana tiene molto a questo, anche i festival da lui diretti hanno avuto sempre questa impostazione.

Nana VasconcelosNANA, I SUONI DELLA FORESTA
Nato a Recife, nel Nordest del Brasile, Vasconcelos ha iniziato a suonare a dodici anni accompagnando il padre chitarrista e la marching band della sua città. Affascinato dalla musica del suo tempo, le composizioni dell'autore brasiliano Vila Lobos e il rock acido di Jimi Hendrix, impara a conoscere tutte le percussioni brasiliane e si specializza sul berimbau. Alla fine degli anni '60 si trasferisce a Rio De Janeiro, dove incontra alcuni fra i più grandi musicisti dell'epoca, il cantante Milton Nascimento e il sassofonista argentino Gato Barbieri. Con "El Gato" suona negli Stati Uniti e in Europa,dove si trasferisce nel 1970. A Parigi registra il suo primo disco, Africadeus. Tornato in Brasile inizia la collaborazione con un altro grande artista, il chitarrista Egberto Gismonti, con cui suona per otto anni realizzando tre album. Ma l'esperienza che ricorda più volentieri è quella del trio Codona, il cui nome deriva dalle iniziali dei nomi di Collin Walcott, Don Cherry e Nana “Ho avuto un’esperienza molto bella con un gruppo che si chiamava Codona – racconta - eravamo una sorta di musicisti di strada. Collin è partito per primo, dopo è partito Don, io mi sto preparando. Non potrò stare qui sempre, no?”. Dal 1975 è il percussionista più richiesto e si concede alle collaborazioni più prestigiose, il gruppo di Pat Metheny, il violinista Jean-Luc Ponty, il trombettista John Hassell, i jazzisti Woody Shaw, Eddie Gomez e Ron Carter, il sassofonista norvegese Jan Garbarek con cui dà vita a particolarissime commistioni fra il Nord e il Sud del mondo, i maghi del suono Brian Eno e Ryuichi Sakamoto, la cantante Chaka Khan, il re del blues B.B.King, il percussionista svizzero Pierre Favre, i batteristi Ginger Baker, Danny Gottlieb e Jack de Johnette, la cantante Laurie Anderson, il percussionista indiano Trilok Gurtu, il chitarrista dei Police Andy Summers, il sassofonista David Sanborn, il gruppo fusion Jellowjackets, la Penguin Cafe orchestra, gli Aztec Camera, Paul Simon, i Talking Heads e i Gipsy Kings. La crema dei musicisti di avanguardia si rivolge a Nana, trovando nuovi suoni e dando freschezza ai lavori discografici, indipendentemente dal genere musicale. Negli anni '80 il percussionista brasiliano approda in Italia contribuendo in modo determinante a cambiare il sound dell’epoca. Lo troviamo con il trombettista Enrico Rava (Rava string band), con Pino Daniele insieme a cui registra un album (Musicante) partecipando anche ad alcuni tour, con Eduardo De Crescenzo (Cante Jondo), Saro Liotta, Joe Amoruso e Luigi Lai. Proseguendo la sua carriera solista Nana sperimenta nuovi ambiti musicali, dalla grande orchestra dell’album “Saudades” alla "body percussion" dell’album “Zumbi”, in cui usa il suo corpo come uno strumento a percussione. Da quest’ultima esperienza nasce l’idea del concerto da solo, che sviluppa ancora oggi in una performance straordinaria, in cui il maestro brasiliano non si limita a suonare le percussioni, cantare, usare il corpo come strumento, ricreare i suoni della foresta, ma usa anche il pubblico come un’orchestra, lo “suona” e lo rende partecipe, rivelandone una flessibilità musicale inaspettata. Un concerto di Nana Vasconcelos è un’esperienza unica, in cui la musica è quella brasiliana, ma anche quella dei nativi nordamericani, sviluppata da un solo musicista che usa tutto il materiale che ha per creare emozioni.

P: A proposito di festival, Nana è uno degli organizzatori del PercPan. Ci raccontate di questa esperienza?

N.V: PercPan è un grande festival di percussioni che si tiene in Brasile, in cui io e Gilberto Gil abbiamo la direzione artistica.
P.C: Ottima esperienza, Nana mi ha invitato come giornalista. Non ho deluso le sue richieste ed attese, ho fatto molte recensioni per riviste italiane compresa quelle in diretta dal Brasile per il quotidiano Il Manifesto. Ho fatto anche una trasmissione di un'ora e dieci minuti a Rai Tre Radio a Roma, dopo aver registrato nove ore di concerti del PercPan. Lavorare con e per Nana è veramente straordinario.

P: Nana, so che stai lavorando in Brasile su un progetto che riguarda l’educazione dei bambini abbandonati. Ce ne parli?

N.V: Si, seguo un progetto che utilizza l’arte per aiutare i bambini che vivono sulla strada e sono il futuro del Brasile. Io sono stato un bambino povero, ma all’epoca non esistevano bambini abbandonati per la strada, oggi invece tutto il Brasile vive questa situazione. Il progetto vuole insegnare le arti a questi ragazzi: suonare, fabbricare gli strumenti e altro, così loro possono pensare che ci sia un futuro.

P: Passiamo al vostro concerto, entrambi suonate con strumenti non convenzionali.

N.V: La musica è così, io porto sul palco le cose con cui posso fare musica: ci sono i musicisti che spiegano le cose e quelli che sanno suonare veloce e forte.
P.C: Ho sempre cercato di prendere una strada lontana dai cliché, dal business, per non dover mettere dietro al mio set nessuno striscione di nessuna ditta di strumenti musicali, per continuare a vivere in provincia e costruirmi una casa in campagna. Ogni scelta ha i suoi pro e contro, a volte si vorrebbero entrambi invece uno non va d'accordo con l'altro, bisogna scegliere. Ci riesco dedicandomi seriamente alle cose, essendo preciso ad ogni costo, non lasciando niente a caso: la costanza e la perseveranza, la coerenza e la testardaggine, l'amore per la professionalità. I miei strumenti devono suonare bene e suonano bene anche senza amplificazione. Alcuni necessitano di essere amplificati per metterli in giusto rapporto sul palco con gli altri. A tutto questo aggiungo il lavoro con le apparecchiature elettroniche molto sofisticate e costose. Uso riverberi ed echi, e con loro interagisco. I programmi scelti ed elaborati ricreano quelle stanze, quegli spazi che mi ricordano qualcosa di già vissuto e non come semplice prolungamento o ribattimento che la macchina mi offre o quel dato fonico ti vuole mettere. Non a caso cerco di avere sempre con me il mio fidato fonico. Certo è un lavoro difficile, ma soprattutto lavorare ovunque così è complicato: c'è troppo pressappochismo tra musicisti, tra service, tra organizzatori, tranne che tra il pubblico che apprezza subito e vuole giustamente questo.
N.V: Io suono di più quando non suono, è meglio, no?

CONSOLMAGNO, LA METROPOLI CHE MEDITA
Il riminese Peppe Consolmagno ha al suo attivo partecipazioni a prestigiosi festival Internazionali come "Umbria Jazz", "Festival Internazionale del Jazz” a Montreal in Canada, "Jazz o Brasil" a Parigi, "Kunstamt Stegliz" a Peppe Consolmagno con caxixiBerlino, "RadioTre Suite", "Festival Sete Sóis, Sete Luas" in Portogallo, e il “Womad” promosso da Peter Gabriel. A suo nome ha realizzato l’album "Kalugumachine" in collaborazione col sassofonista Antonio Marangolo. Quella di Peppe Consolmagno è una personalità complessa, dove la musica fa da collante alle meditazioni interiori, ma anche a una febbrile sete di sapere che lo porta a lavorare in molti campi. Infatti è anche etnomusicologo, giornalista che collabora con le principali riviste di settore e con un prestigioso quotidiano nazionale, costruttore di strumenti musicali, fra cui i famosi caxixi di Nana Vasconcelos (curioso che uno strumento così tipicamente brasiliano venga costruito in Italia) ed altri strumenti in cui vengono usati materiali come la zucca, il bambù, il legno, il metallo e l'acqua. Questa sua sensibilità musicale lo ha portato spesso a collaborare con artisti stranieri in situazioni etniche o in cui era richiesta una grande creatività nel costruire i suoni. Peppe Consolmagno è anche il punto di riferimento italiano per Nana Vasconcelos. “Sono stato io ad  occuparmi dei rapporti con Nana” – conferma – “ed è stato solo grazie a me se Nana ha accettato di venire in Italia. Mi sono occupato di tutta la logistica, contatti, trattative, itinerari, viaggi, ospitalità a casa mia, abbiamo passato quattro giorni veramente in sintonia e completa amicizia. Tutto nel massimo rispetto e nella massima considerazione dei suoi desideri e aspettative. Questa occasione ha consolidato maggiormente il mio rapporto con lui”. (foto di Alessandro Ugolini)

P: Nana, la tua musica esce dalle convenzioni e dai generi. Ma ci sono delle situazioni musicali in cui ti esprimi meglio?

N.V: La mia scuola musicale è la scuola della vita, suono con cantanti che vengono dalla Norvegia o dalla Lapponia, suono con Pino Daniele o Eduardo De Crescenzo oppure con Pat Metheny. Adesso posso parlare così, perché ho capito che la cosa importante è imparare ad ascoltare, così posso trovare il mio spazio, non importa in quale situazione, voglio essere libero, disponibile e senza pregiudizio.

P: Se la scuola musicale è la scuola della vita, la tecnica sullo strumento diventa meno importante?

N.V: Io studio tutto. La tecnica è importante, perché tutto quello che viene dalla propria espressività deve uscire piano, non caricato. Il messaggio deve essere chiaro, può piacere o non piacere, ma deve essere tutto chiaro, comprensibile. A questo serve la tecnica.
P.C: Fare un concerto intero da soli necessita una certa programmazione. L'improvvisazione e' molto importante, ma si improvvisa bene se si ha una linea ben tracciata su cui ci si può muovere. Da solo devi tenere su tutto il concerto e già io lo faccio con almeno quattro suoni contemporaneamente: la voce, lo strumento, gli armonici, riverberi ed echi.

P: Nana, hai avuto degli insegnanti?

N.V: Non ho avuto insegnanti, ho imparato tutto dalla vita.

P: La vostra musica è legata anche a qualche concezione filosofica o religiosa?

N.V: No, ma non posso separare la vita da quello che suono. Bisogna vivere nel mondo in armonia con tutta questa diversità.

PC: No, la mia musica non è legata a filosofie o religioni nel senso stretto del termine, se non nel rito della preparazione del palco, nella custodia degli strumenti, nel rapporto che ho con loro, nel significato che hanno per me e che do a loro.
Sicuramente amo stare sul palco in sintonia con me stesso, con chi suono e soprattutto con il pubblico. Concentrarmi sul fatto che un musicista ha il privilegio, in quella ora e mezza circa che sta sul palco, di poter dire e fare quello che più gli piace, ricordandosi sempre di onorare le persone che sono venute a sentirlo.

P: Nana, cosa ricordi della tua esperienza in Italia?

N.V: Pino Daniele, Enrico Rava, Antonello Salis, Eduardo De Crescenzo, la musica sarda di Luigi Lai. Sono tutte situazioni in cui bisogna essere disponibili a capire, la musica e la dignità devono essere una cosa sola.

P: Che lavori state preparando ora? Verso quali campi si muove la vostra ricerca?

N.V: Sono stato molto tempo fuori dal Brasile e c’è un’intera generazione che non mi conosce, per questo ora suono solo nel mio paese. E’ molto gratificante vedere questi ragazzi, quando io sono uscito dal Brasile loro non erano ancora nati. E’ bello essere tornato in Brasile, è un bel periodo per me, ho la possibilità di lasciare un messaggio, di dire le cose senza sprecarle.
P.C: Ho in cantiere vari cd da fare tra il mio solo e altri progetti come il gruppo Ishk Bashad con cui abbiamo partecipato recentemente al festival Womad di Peter Gabriel. Nel frattempo cerco di lavorare su me stesso per cercare una maggior sintonia con la mia vita e quindi con la musica.

P: Pensate di lavorare ancora insieme?

PC: Beh, come si dice in Brasile: tudo bem no ano que vem! tutto bene nell'anno che viene!

Mario A.Riggio

 

 

(Giuseppe) PEPPE CONSOLMAGNO 
Strada Serre, 7 - 61010 Tavullia (PU), Italy, Tel/Fax: 0721 476230 - Cell. 3388650881 - e-mail: info@peppeconsolmagno.com

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