Interviste

 

Jazz Magazine - ALL ABOUT JAZZ
Aprile 2002

 

Alla scoperta del Brasile con Peppe Consolmagno

 

"Quando entri in modo profondo dentro una cultura, ti devi esprimere correttamente; l'occidentale, limitato com'è nel suo approccio al ritmo, tende a usare tutto in modo indistinto"

di: Francesco Cisternino

 

 

Abbiamo avuto il piacere di incontrare un musicista davvero particolare: percussionista innamorato del Brasile ma da tempo immerso in un mondo musicale più ampio, costruttore di strumenti a percussione tra gli altri per Nana Vasconcelos, Trilok Gurtu e Glen Velez, cronista musicale per Percussioni, Drum Club, Il Manifesto, oltre che per All About Jazz Italia [per leggere la sua intervista a clicca qui], apprezzato didatta e si potrebbe andare avanti.
Ha girato il Brasile in lungo e in largo, il nostro, scoprendo con pazienza e metodo un patrimonio di segreti difficile da penetrare. Ecco cosa ci ha raccontato.

Foto di Toni Luca

Peppe Consolmagno con Piatti ChinaAll About Jazz: Peppe, proviamo un po' a ripercorrere i tuoi trascorsi musicali.

Peppe Consolmagno: Si è trattato di un percorso decisamente autonomo. Parte della mia famiglia che proviene da Aquara, un paesino vicino Salerno, le cui tradizioni musicali sono molto radicate.
Anche se da piccolo le ho vissute da lontano, ne ho tratto comunque una solarità che qui nel centro nord, dove sono nato e cresciuto, viene a mancare.
La cultura musicale della Romagna, (sono nato a Rimini) cui appartiene l'altro ramo familiare, si sente molto poco essendo più che altro legata al liscio che non ho mai sentito vicino. Nel cercare qualcosa di diverso, la curiosità è stata accentuata dal fatto che venticinque anni fa era molto difficile reperire dischi, materiali sulle culture musicali "altre".
Certi strumenti che mi capitava di ascoltare, senza sapere né come si chiamassero né chi li stesse suonando, hanno cominciato presto a colpirmi in maniera particolare.
Producevano dei suoni che nonostante potessero apparire "periferici" all'interno del brano io sentivo come portanti, come se qualcuno stesse lavorando in senso dialogico e non attraverso un mero accompagnamento. Scoprendo che si trattava di strumenti brasiliani di origine africana - il berimbau e il caxixi ad esempio, che oggi sono diventati compagni inseparabili nella mia musica - l'interesse cominciava a farsi specifico e nel 1985 è arrivato il primo viaggio in Brasile: ero abbastanza giovane, al primo viaggio internazionale, solo davanti ad una lingua che non conoscevo affatto e più complicata da capire di quanto si possa immaginare.
Sul Brasile vari colleghi e amici raccontavano di musica in mezzo le strade, da tutte le parti, la sera si suonava qua e là... macché. Il mio primo viaggio in quel paese lo ricordo bene: arrivato a Rio de Janeiro, il giorno dopo dovevo prendere l'aereo per Manaus, la capitale dell'Amazzonia; per tutto il viaggio non ho mai sentito una nota di musica brasiliana, in albergo niente se non rock e pop internazionale. Per strada mai niente, né a Rio, né a Manaus.
Dopo tre giorni, ancora il niente assoluto. Mi ero seduto in un bar a bere una birra, finalmente cominciavo a sentire un po' di musica: magari è la volta buona, pensavo. Mi alzai, andai a sentire e … era Gigliola Cinquetti. Lì questa musica italiana va fortissimo, specie quella dai connotati diciamo così romanticheggianti; artisti nostrani meno considerati qui possono trovare in Sud America un grande successo.
La musica per strada non esisteva per niente. Nessuno mi dava le informazioni che cercavo; se fai il turista col dollaro in tasca, il gringo come dicono loro, ti si aprono tutte le porte.
Ma quali porte? Io volevo accedere in tutt'altro modo. Ero sconfortato, eppure, appena arrivato, mi ero sentito decisamente a mio agio: questa sensazione non poteva essere casuale.

AAJ: Cosa hai fatto a quel punto?

P.C.: Anziché perdermi troppo d'animo ho incominciato a imparare il portoghese-brasiliano per strada, che mi ha permesso lentamente di essere considerato meno estraneo, magari come fossi un italiano che viveva in Brasile.
Altra cosa importante, stavo sempre in mezzo alla gente; il fatto che io viaggiassi e girassi da solo in un Paese straniero ha fatto sì che la gente con cui venivo in contatto avesse me - e solo me - con cui confrontarsi, nessun altro termine di paragone. L'oggetto di confronto diretto ero io, erano tutti un po' costretti a cercare di capire chi fossi guardandomi, parlando con me.
Secondo le regole di questo gioco, il dialogo dipende da come ci si comporta. Quando ti trovi al cospetto una cultura forte e ben radicata e chiedi come fa il tuo interlocutore a costruire ad esempio quello strumento, quel suono, eccetera ci vorrà tempo, pazienza e una grande dose di rispetto perché tu riesca a scoprirlo.
Devi guadagnarti la fiducia.
Il mio primo viaggio è durato un mese, ne sono seguiti tanti altri.

Esistono due modi per un brasiliano di parlare del suo Paese: c'è quello che parla con (ri)sentimento sapendo che ci sono dei pregiudizi da parte degli europei nei confronti del cosiddetto terzo mondo però non conosce altre culture al di fuori della propria. Il suo parlare è ricco di sottintesi inaccessibili a chi non è un buon conoscitore della sua cultura.
C'è invece quello che sa bene come un europeo vede il Brasile, sa chiarire i punti oscuri e parla un linguaggio intelligibile che facilmente può uscire dal proprio Paese. La ragione per cui certi scrittori sono diventati importanti nel mondo, uno per tutti Jorge Amado, è proprio perché conoscono ciò che lì accade e riescono a fare in modo che chiunque, anche fuori dal proprio paese, possa comprenderlo.

Il mio innamoramento per questo Paese ha preso forma non solo attraverso la musica, bensì anche per mezzo di un'intensa attività saggistica per varie riviste. Ho scritto molto, in maniera precisa e documentata, proprio perché il miglior servizio che posso rendere a questa cultura così diversa dalla nostra è riportarla fedelmente. L'immaginario europeo su quel Paese è completamente sbagliato sotto aspetti molteplici: ad esempio, la letteratura, il teatro, la musica si ritrovano spesso fuse insieme, mentre da noi sono perlopiù divise per compartimenti stagni. Questa è una cosa di cui bisogna sempre tenere conto quando si parla, si scrive di quel Paese.

AAJ: Chi sono stati i tuoi maestri?

P.C.: Il maestro vero sarebbe quello con cui hai un rapporto più diretto, del quale diventi l'allievo. La vita, i viaggi, il Brasile (il modo di vivere la frutta, gli odori) sono stati i miei riferimenti. Non suono specificamente musica brasiliana, anche se introduco molto quella che è l'anima di quella musica.
Nana Vasconcelos è stato sicuramente un riferimento importante. Con Nana c'è stato un feeling sin dall'inizio sul modo di vedere la musica; ci siamo conosciuti una ventina di anni fa, ci siamo visti in più occasioni e mi ha chiesto di costruire strumenti per lui.
Il nostro rapporto molto stretto è culminato nel suo arrivo in Italia, lo scorso ottobre, per un concerto a Firenze che, intralci organizzativi a parte, è stato veramente una grande esperienza. Anche lui ha questa concezione orchestrale delle percussioni. Quando suonavo le prime volte, mi ricordo che mi veniva chiesto di eseguire certi timbri in determinati momenti che mi lasciavano piuttosto attonito, a me non piacevano affatto. "Quando suono devo essere io a scegliere quello che sento più opportuno", dicevo. In questo mi sono rivisto molto con il modo di concepire la musica di Nana.
Ho impiegato degli anni a capire che in realtà questa concezione musicale, incentrata sul dar voce e far cantare e parlare tantissimi strumenti, è complessa e non comune. Oggi riesco a suonare con la stessa logica e Nana è stato un modello da seguire su questi aspetti.

AAJ: Quando suoni, cosa prendi dal Brasile e cosa da altre tradizioni musicali?

P.C.: Molti percussionisti amano assemblare vari strumenti, suonare di tutto un po'; certo è che se vuoi lavorare molto, avendo più strumenti e conoscendo diverse tecniche esecutive sei più versatile e dunque puoi fare molto di più. In quel caso, le varie aree geografiche, ad esempio l'Africa del Nord, l' Australia eccetera si trasformano in una sorta di catalogo: con me questo approccio è molto meno presente, anche perché gli strumenti me li costruisco da solo.
Sul canto c'è sicuramente un aspetto più legato all'Asia, dove vige un'impostazione diversa perché orientata sulle cavità nasali, sull'equilibrio, sull'utilizzo degli armonici e non sull'urlo. La strumentazione è invece compresa tra l'Africa e il Brasile perché ad esempio il caxixi che suono e costruisco ha un nome brasiliano, ma in realtà ha una forma africana. Il berimbau è brasiliano, però la sua origine e quel modo di suonarlo è africano; come vedi, se volessi limitarmi al Brasile parlerei di surdo, repinique, ecc.

AAJ: Anche in certe parti d'Italia c'è una certa tradizione percussionistica: ha mai mosso il tuo interesse?

P.C.: Negli ultimi anni in particolare, la cultura della tarantella e quindi degli strumenti come la tamorra e il tamburello sta andando molto in particolare tra i giovani, in maniera anche profonda. Questo revival è però recente, negli anni in cui ho cominciato ad interessarmi di percussioni non ne ero bene a contatto. Le poche cose che avevo ascoltato non mi hanno mai stimolato tanto. Per quanto il ritmo ossessivo sia legato agli stati di trance, di cui nutro interesse e rispetto, il tipo di accento e la pulsazione di questo tipo musica non e' "la mia spiaggia". Mi trovo a mio agio come si diceva all'approccio musicale di tipo orchestrale.
I tamburi a cornice, vale a dire quelli consistenti in un cerchio di legno con una pelle da una sola parte, con sonagli o senza, sono un tipo di strumento molto diffuso in tantissime varianti che possono essere la tamorra, il tamburello, il bendir marocchino, il tar, il pandeiro brasiliano stesso; eppure le tecniche esecutive cambiano completamente. È importante tenere conto del fatto che la pulsazione che guida la musica brasiliana è piuttosto diversa rispetto a quella napoletana; è bene prestare una certa attenzione a mescolanze magari inconsapevoli e improprie.

AAJ: Tu sei un conoscitore decisamente aggiornato della musica brasiliana. Ci spieghi cosa e come si muove in questo periodo?

P.C.: In Brasile la cultura musicale si muove tra Rio de Janeiro e Salvador di Bahia, poi adesso c'è molta musica a Recife e nello stato del Pernambuco, a Nord-Est del Brasile - teniamo conto del fatto che il Brasile è grande ventotto volte l'Italia e ci sono due o tre zone da cui si muove la musica che poi viene esportata. Ad esempio, nell'85 a Rio de Janeiro il movimento musicale si stava affievolendo ed era più viva Bahia; oggi invece è più viva Rio, Bahia è stabile e nel Pernambuco c'è un grosso movimento. E dunque chi va in un certo periodo in Brasile, può darsi che possa trovare una scena musicale molto più viva in un certo posto piuttosto che un altro, indipendentemente dal gusto musicale che vuole seguire.
Una grossa esplosione musicale è in corso oggi nel Pernambuco; il maracatu, il frevo, che si danza muovendo freneticamente le gambe in posizione "a forbice", il forrò. Poi ci sono tutta una serie di musiche nuove, tipo il mangue music ed altre in cui rientra il rock, che però evolvono ovviamente molto in fretta. I generi sono tanti, dal choro - che, pur essendo antecedente alla bossa nova è tuttora ben attivo, al samba, con tutte le sue varianti "pagode" ancora ben in vita. Per la bossa nova, capiscuola molto evidenti anche fuori dal Brasile sono stati Joao Gilberto, Baden Powell, Anton Carlos Jobim solo per citare i più noti. La axé music della parte Bahiana, il samba reggae, la afoxè che è quella del carnevale, il forrò, la sertaneira dell'entroterra di Bahia, sono molto stabili nel tempo.
Per quello che riguarda i dischi in circolazione, attenzione alle solite collane francesi (ad es. Orion, Musique du Monde): per chi si interessa di musicologia è interessante ascoltarli e capirli soprattutto dal punto di vista storico, anche se qualche volta serbano al loro interno brani non perfettamente rappresentativi.
Teniamo conto del fatto che solo una piccola parte dei prodotti discografici brasiliani arriva qui in Italia: anche album di artisti molto noti come Hermeto Pascoal, che pure è venuto in Italia tante volte, sono difficili da reperire. Non è facile trovarli perché i dischi non si vendono. La masterizzazione indiscriminata dei dischi non fa altro che provocare un ulteriore decremento dei titoli in pubblicazione.

AAJ: Cosa ne pensi degli esempi di contatto fra musica colta di matrice europea e il ritmo brasileiro, tipo Saudades del duo Gismonti/Vasconcelos?

P.C.: Sarà che sono affezionatissimo a quel disco, ma quel modo di fare musica lo trovo veramente eccellente, molto raffinato. Egberto Gismonti, che conosco abbastanza bene, è musicalmente più legato a Chopin e Debussy, ha avuto una formazione in parte francese con Nadia Boulanger. La sua creatività è incredibile, è una persona molto rigorosa - non è un caso che anche lui si veda ben poco in Italia. Il fatto che Gismonti, come altri musicisti di caratura internazionale, siano spesso male accolti da certi organizzatori nostrani contribuisce ad allontanarli verso altri lidi molto più proficui. Purtroppo, quello di Saudades non è un linguaggio molto apprezzato, neanche dai musicisti: sono in tanti ad essere abituati al body building musicale, mentre quel disco è esattamente l'opposto. E poi, l'inserimento degli archi con quella spinta ritmica così forte e il berimbau di Nana Vasconcelos assume una forza straordinaria.

AAJ: A proposito, sei d'accordo con me sul fatto che noi europei ci siamo ritrovati ritmofobici col passar dei secoli?

P.C.: Beh, quando nelle stampe seicentesche veniva illustrato lo strumento a percussione suonato dal demonio, mentre il flauto lo suonavano gli angeli, qualcosa voleva pur dire; possiamo immaginare chiaramente quale ruolo minore potesse avere il ritmo all'interno di una struttura musicale. Al contrario, nelle culture cosìdette "primitive" extraeuropee è il suono basso, che può essere di qualsiasi strumento, ma più spesso di uno strumento a percussione come il tamburo basso, quello che comanda. Per un indiano, suonare le tabla vuol dire dieci anni di conservatorio: eppure, detta in maniera un tantino brutale, sembrano due barattoli messi lì a terra. Ma, come dicevamo prima a proposito delle varianti dei tamburelli a cornice, la questione non è solo relativa allo strumento, bensì al fatto che quella cultura dialoga con certe forme ritmiche particolarmente complesse. Ecco, quando entri in modo profondo dentro una cultura, ti devi esprimere correttamente; l'occidentale, limitato com'è nel suo approccio al ritmo, tende a usare tutto in modo indistinto.

AAJ: Passiamo alla tua importante attività di musicista. A cosa stai lavorando in questo periodo?

P.C.: Non ho mai avuto tanti progetti come in questo periodo e per me è un grande piacere, visto che la mia attività musicale è lontana dai circuiti tradizionali. In Italia si suona veramente molto poco; quando poi si vive in provincia, come nel mio caso, la distanza seleziona gli incontri da entrambe le parti: da chi ti vuole contattare, che attende il contesto giusto, e da te che tendi a scegliere occasioni per le quali ne valga veramente la pena. Sono già diversi anni che frequento solo festival e rassegne anche all'estero in cui ci sia una richiesta da parte del pubblico molto precisa. Prosegue regolarmente Timbri dal Mondo, il mio concerto in solo per percussioni e voci; questo discorso è legato anche alla didattica, con numerosi seminari e laboratori ed è uscito anche all'estero in più occasioni con mia grande soddisfazione, sia che mi trovi davanti a venti persone sia a duemila. Anche in questi spettacoli utilizzo un rack elettronico che permette di raggiungere un'acustica perfetta in qualsiasi sala o spazio aperto. Assieme a Nicola, valido fonico e amico, abbiamo riprodotto echi e riverberi che mi avevano colpito, come quello della vallata che hai davanti, oppure uno particolarmente suggestivo che ho colto qualche tempo fa in una piscina vuota.

AAJ: Ma usi anche strumenti elettronici?

"P.C.: Non uso percussioni elettroniche, tutto ciò che si ascolta è suono vero dei miei strumenti acustici da me costruiti o adattati.
Ma torniamo ai miei progetti musicali. Ho poi un gruppo, Ishk Bashad con Giuseppe Grifeo al pianoforte, la tunisina Mouna Amari all'oud e voce ed Enzo Rao al violino. Abbiamo avuto un grande successo al recente Womad di Peter Gabriel. Proveniamo tutti da posti diversi e dunque ci riuniamo solo in occasioni importanti; con loro il disco ormai è imminente. Con lo stesso Grifeo ho un duo, i cui materiali sono in parte quelli di Ishk Bashad; poi c'è il duo con Antonio Marangolo, (quello con cui ho fatto il CD Kalungumachine, Iktius) e il Marangolo Quintetto Orizzontale  che va avanti da tanti anni e le cui musiche sono state utilizzate come colonna sonora del programma televisivo di Vittorio Gassman Cammin leggendo, che la RAI ancora trasmette in orari impossibili. Anche con loro era pronto il CD, purtroppo sfumato per via del produttore, anche se il discorso rimane aperto.
Infine collaboro con il gruppo Odwalla, con cui sono stato recentemente al XXII Euro Jazz festival di Ivrea per seminari, concerti con Billy Cobham e per registrare il loro quinto disco che si chiamerà "Kratos e Bia" ed uscirà per la Splasc(H) world series.

Ti devo dire che fino a pochi anni fa avevo una gran voglia di registrare, ma le difficoltà soprattutto distributive hanno reso sempre più complicati questi progetti; la cosa migliore è farlo per conto tuo, autoproducendo il disco e provvedendo personalmente alla distribuzione.
Piaccia o no, questa è attualmente la situazione discografica italiana per chi non rientra nei circuiti più blasonati.

Si ringrazia Chiara Giacomoni per la cortese collaborazione.

Francesco Cisternino

(

 

Giuseppe) PEPPE CONSOLMAGNO 
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