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Interviste

 

Rivista STRUMENTI MUSICALI
n.194 gennaio 1997 pagg.20-26

 

"PEPPE CONSOLMAGNO
   TIMBRI DAL MONDO"


di Roberto Valentino

 

Sarà anche per la barba fluente, nera pece, ma vedere Peppe Consolmagno sul palcoscenico alle prese con una selva di strumenti e strumentini sembra proprio di avere di fronte una specie di stregone delle percussioni. I suoi concerti assomigliano, infatti, a dei riti in cui la magia propria di strumenti antichissimi, ma nel contempo attualissimi, si mescola con una personale ricerca timbrica e coloristica di grande forza educativa.


  Foto di Elio GuidiPeppe Consolmagno con Dumbek

L'aspetto ancora più singolare è che strumenti africani, ma soprattutto brasiliani, Peppe Consolmagno se li costruisce da solo, dopo averne fatto diretta conoscenza nei luoghi d'origine, apprendendo lì tecniche e modalità di impiego.
E in questa pratica è diventato esperto al tal punto da catturare l'interesse dei migliori percussionisti oggi attivi in tutto il mondo che a lui si sono rivolti e si rivolgono per farsi costruire a loro volta questi strumenti. Così, musicisti del calibro di Nana Vasconcelos - che lo ha invitato varie volte in Brasile - Trilok Gurtu, Glen Velez, Cyro Baptista, Duduka da Fonseca, Flora Purim e Paolo Vinaccia si servono di strumenti fabbricati su misura da un italiano.
La qual cosa, che ha quasi dell'incredibile, non poteva passare inosservata ai nostri occhi. Un incontro con Peppe Consolmagno musicista, costruttore di strumenti musicali, giornalista e didatta ci è sembrato la cosa più logica da proporre ai nostri lettori che sul CD allegato a questo numero di SM Strumenti Musicali possono anche vederlo in azione e ascoltarlo in alcuni brani tratti dal CD Kalungumachine, registrato insieme al sassofonista Antonio Marangolo.  SM: Come è nato il tuo interesse per strumenti così lontani dalla nostra cultura europea?

PC: La prima esigenza reale che ho sentito è stata quella di avere subito un rapporto molto stretto con lo strumento. L'idea di prendere in mano uno strumento comprato in un negozio mi poneva una serie di problemi legati alla loro stessa denominazione, alle loro origini e finalità, ai materiali con i quali erano costruiti. Tutto ciò ha rappresentato per me un grosso ostacolo: ho capito che quegli strumenti non erano fatti per me. Ma venti-venticinque anni fa era difficile poter farsi un'idea di uno strumento "vero": gli strumenti etnici non circolavano ancora dalle nostre parti e guardando una fotografia ci si poteva fare solo un'idea vaga su come erano fatti. Quindi, accedere visivamente a cose che stavano molto lontano è stato molto complicato.
Di dischi del genere, poi, ne circolavano ancora pochissimi. Finalmente, ho potuto sentire alla radio qualcosa di musica brasiliana, di jazz, di blues. In realtà il jazz e il blues mi interessano ma, come direbbero in Brasile, non sono esattamente la mia spiaggia, mentre delle musica brasiliana mi hanno subito  colpito quei suoni curiosi che però danno una direzione immediata alla musica.

SM: Ma quali sono i motivi che ti hanno spinto verso l'Africa e soprattutto verso il Brasile?

PC:  La ricerca di radici autentiche sulle quali appoggiarsi. per un europeo che non ha un cultura personale, familiare per esempio, è un problema collegarsi alle proprie radici. E' facile per un siciliano o un sardo ma per uno come me che è nato a Rimini è un po' più complicato, dato che non ha una cultura precisa cui riferirsi, se non quella del "liscio". Quindi, non ho potuto far altro che guardarmi intorno, indagare altrove.

SM: Quali sono i primi strumenti etnici che hai scoperto?

PC: Il caxixi e il berimbau, due strumenti brasiliani di origine africane. All'inizio sono stato colpito dal loro suono ma non è stato facile entrarne in possesso. Il caxixi è un piccolo strumento di varie misure: è un cesto in giunco, bambù o vimini; ha la base in zucca, dentro la quale ci sono dei semi. Il manico è a U, come quello di una valigetta ma in Africa ce ne sono con il manico a occhiello, come quelli che costruisco io. Il caxixi è uno strumento a scuotimento e ha una sonorità molto ricca: le sue potenzialità dipendono molto da come lo costruisci e da come lo muovi. E' uno strumento legante, centrale, un po' come i piatti e il rullante della batteria.

SM: E il berimbau?

PC: Chi ha fatto conoscere questo strumento in tutto il mondo è Nana Vasconcelos, al quale, io come tanti altri, devo molto. Il berimbau è u arco musicale  ed è costituito da un ramo al quale viene applicato un filo in metallo in tensione; una zucca funge da cassa armonica collegando il filo con il ramo. Il filo viene percosso con una bacchetta, la nota viene modulata per mezzitoni con una moneta di metallo o una pietra, e nella mano destra, oltre alla bacchettina, c'è anche il caxixi. In Africa si trova lo stesso strumento, chiamato in modo diverso e con la corda anche in budello.

SM: Il berimbau è lo strumento tipico della capoeira. Vuoi spiegarci di cosa si tratta?

PC: Originariamente era una forma di arte marziale, un sistema di difesa che con la schiavitù è stato proibito. Poi è diventata una danza accettata dai padroni bianchi in quanto apparentemente slegata dalle sue funzioni originarie. C'è un tocco della capoeira che si chiama cavalaria, durante il quale tre berimbau insieme imitano il suono degli zoccoli dei cavalli: si ricorda così il momento in cui gli schiavi, all'arrivo dei padroni a cavallo, iniziavano a danzare. da qui la capoeira ha assunto la nuova funzione di danza, appunto, e oggi anche di competizione sportiva. In realtà la capoeira sembra sia nata senza berimbau, ma poi questo strumento ne è diventato il segno distintivo. Il berimbau usato per la capoeria ha delle caratteristiche particolari che lo distinguono dal modo intimistico e melodico di intendere lo strumento tipico di Nana Vasconcelos: lo strumento deve essere più rigido, il ramo più duro, il filo più grosso, la zucca molto precisa. Il suono deve quindi essere molto incisivo, secco, perché deve scandire i colpi.

SM: A un certo punto questi due strumenti hai iniziato a costruirli tu stesso...

PC: Come dicevo prima, ho sempre sentito l'esigenza di un rapporto molto stretto con lo strumento. Ogni strumento ha una sua personalità, un suo suono, perciò bisogna innanzitutto capire come è fatto lo strumento e cosa è capace di fare: è lo strumento che principalmente determina la musica! Da questi presupposti è scattata la molla che mi ha portato a costruire, a modificare, a migliorare gli strumenti di cui avevo bisogno.

SM: Ovviamente, un aspetto determinante è la scelta dei materiali...

PC: E non è sempre facile trovarli. Naturalmente il terreno più fertile è l'Africa, l'Asia e il Brasile. Per esempio, la zucca italiana è un po' debole, è giallo chiara ed è molto più tenera.
Quella brasiliana e africana è più dura, legnosa, rossastra. però dipende dall'uso che se ne fa: un berimbau con zucca italiana può andare comunque bene anche se io preferisco quella brasiliana. Quelle per i water drum, i tamburi ad acqua, sono invece delle zucche molto più grosse che si trovano solo in Africa, in Senegal e Mali, e che vengono usate anche per la kora e per il bolom. In Brasile si trova il biriba, uno dei legni con il quel si costruisce l'arco del berimbau. Poi certi tipi di semi si trovano solo in Africa e in Brasile. Ma ciò che è più importante è che in questi luoghi si entra in sintonia con gli strumenti, si impara a conoscerli a contatto con la loro realtà. E qui sta il problema più grosso, perché è molto complicato entrare in possesso di certe conoscenze: sono tutti gelosissimi delle proprie tecniche e conoscenze e prima di riuscire a carpire qualcosa bisogna conquistare la fiducia della gente.

Foto di Michele Sereni
Peppe Consolmagno

SM: Come hai iniziato a costruire strumenti per altri musicisti?

PC: E' incominciato tutto con Nana Vasconcelos, anche se in precedenza avevo fatto qualcosa per Ray Mantilla e Luis Agudo (a cui è legato un bel aneddoto). La prima volta che ho costruito degli strumenti per Nana ci ho impiegato intenzionalmente diversi mesi, perché volevo capire ciò che lui esattamente voleva. Solo se capisci le reali esigenze di un musicista si può costruire uno strumento che si addica a quel musicista. Perciò, nel caso di Nana sono riuscito a costruire degli strumenti con la forma, la robustezza, il suono che lui voleva: un costruttore di strumenti deve fare da ponte tra la creatività spontanea e la necessità di soddisfare le esigenze immediate del musicista. Successivamente, ho avuto richieste da altri musicisti e anche abbastanza particolari: per esempio, per Glen Velez ho costruito un set doppio di quattro tipi di caxixi (basso, baritono, tenore e soprano) di forme, colori e misure diverse. Anche per Trilok Gurtu ho dovuto fare un lavoro interessante.

SM: Passiamo ora alla descrizione del tuo set, cominciando dalla disposizione degli strumenti sul palco.

PC: Premesso che considero il mio concerto come una sorta di racconto, ne consegue che gli strumenti siano i protagonisti di questo racconto, nel senso che determinati brani sono stati concepiti per determinati strumenti. La disposizione sul palco corrisponde quindi a una successione logica, a un percorso ideale: gli strumenti sono divisi per settore, per famiglie, perché quando hai un'idea devi sapere esattamente dove andare a prendere con rapidità lo strumento per metterla in pratica. Possibilmente non adopero aste, appoggio gli strumenti su di un tappeto, anche perché il gusto estetico serve per armonizzare il tutto. Quindi, il fatto di distribuire gli strumenti in questo modo obbliga a usare un dato strumento per sfruttarlo nel miglior modo possibile. Ciò porta normalmente a usare molta dinamica, facendo però attenzione che questa dinamica non si trasformi in un pieno eccessivo.

SM: Scendendo nel dettaglio, vorresti descrivere l'esatta collocazione di ogni strumento?

PC: Partendo dalla mia sinistra ci sono dei piatti, dei tamburi ad acqua e i cing, delle tazze da meditazione che sono costruite in metallo e vengono suonate con delle bacchette: hanno un effetto sonoro molto simile a quello del dito sfregato sul vetro bagnato, ma più profondo e magico. Vengono usate specialmente dai monaci tibetani nei loro momenti di meditazione, appunto. Alla mia destra sono collocati gli udu, vasi sonori in ceramica a due fori. Gli udu sono di origine nigeriana e li usano le donne igbo per insegnare i passi di danza e pare anche per addormentare i bambini. Il fratello dell'udu africano, ma con un foro solo e più grande, è il gatham indiano.

SM: Poi, naturalmente, c'è il berimbau...

PC: Esattamente. Ma anche vari tipi di tamburi: il tamburo parlante, tamburo nigeriano bipelle a clessidra, il dumbek, un tamburo monopelle turco che io suono senza pelle, cioè percuotendo con le dita  solo il fusto faccio risuonare armonicamente il metallo con il quale è costruito. In questo modo vengono fuori dei suoni squillanti e delle armoniche bassissime, quindi si crea un contrasto enorme. Poi, dietro le mie spalle, è posizionato un gong birmano di grosse dimensione che suono sollevandolo con la mano. Per completare il quadro ci sono una conga di Roberto "Mamey" Evangelisti e tanti piccoli strumenti, conchiglie, caxixi, campanelli, semi, semi, lastre di metallo, richiami di uccelli ecc. i flauti a una nota, quelli dei pigmei per intenderci. Più che degli "effetti" tutti questi strumenti sono per me dei simboli, una rappresentazione dell'esperienza dell'uomo. 

SM: Anche l'uso dei piatti è piuttosto particolare...

PC: In effetti, più che altro non li uso in funzione di accompagnamento con le bacchette, ma ne sfrutto le armoniche. Nel mio CD Kalungumachine c'è un brano, "Lua", che ho realizzato con diversi piatti sfruttando con il microfono le armoniche e aggiungendovi la mia voce. Il risultato è che sembra che ci sia una tastiera elettronica, mentre è invece semplicemente un feltro che colpisce il piatto creando una situazione melodica a seconda di dove viene letta l'armonica. dal vivo eseguo il brano allo stesso modo. Sono piatti da batteria da 14'' o 16'', ma ne adopero anche altri più piccoli che ho riadattato o costruito io stesso.

SM: Vedo che nella tua scheda tecnica per i concerti fai espressa richiesta di 30-50 litri di acqua.

PC: Mi serve non solo per i tamburi ad acqua ma anche per immergerci dentro i metalli. Che è un'idea che risale a John Cage.

SM: Tutti questi particolarissimi strumenti necessitano sicuramente di un'amplificazione adeguata per poterne risaltare al meglio le qualità timbriche. Incontri problemi specifici nella microfonatura?

PC: Quando uno, come nel mio caso, si affida allo strumento come fonte originaria del suono, ha bisogno che il timbro dello strumento venga riprodotto correttamente. Il che diventa spesso un grosso problema. Per i tipi di strumenti che suono io ci vogliono microfoni specifici, posizionati nel punto giusto. Sono strumenti che hanno delle frequenze molto alte e molto basse, comunque riproducibili con dei microfoni comuni. Purtroppo, non sempre capita di lavorare con un tecnico del suono che abbia esperienze di questo tipo e che sia disponibile a risolvere i problemi. Capita di trovare dei fonici ai quali interessa sostanzialmente sfruttare la potenza dell'impianto e basta. Non sono abituati a lavorare con i suoni acustici. Invece il musicista deve essere messo in grado di tirar fuori in maniera corretta un suono dallo strumento che anche se va via la corrente rimane lo stesso. Non è solo questione di qualità del microfono, perché può capitare che un microfono poco costoso si adatti bene a un certo strumento. Per la buona riuscita di un concerto è necessario che ci sia una buona armonia tra il musicista, il fonico e l'organizzatore. Se il musicista ha la possibilità di lavorare bene sul palco, suona meglio, con più dinamica, si diverte di più e tutto questo va a beneficio dell'organizzatore, del fonico e soprattutto del pubblico. Ecco perché da un po' di tempo cerco di avere sempre con me il mio tecnico responsabile, anche se ancora oggi devo trovare un organizzatore che accetti la sua presenza, non intendo quella professionale, ma quella economica. L'ho sono sempre pagato io, ma ne vale la pena. Non tutto dipende da me e se i presupposti sono questi mancherà sempre qualcosa…..

SM: Quindi che tipo di microfoni ritieni più adatti per le tue esigenze?

PC: Uso sia microfoni dinamici, tipo Shure 57 e 58 oppure Sennheiser 416 e 441, sia a condensatore, AKG451 e 414 e Shure FM81. Questi ultimi sono più attenti a certe frequenze e questo fatto può essere di aiuto. Ma ci sono delle frequenze per le quali vanno molto bene i microfoni dinamici: li uso quando c'è bisogno di una direzionalità molto precisa, come nel caso dell'udu o del mio dumbek. Nel mio caso non bisogna prendere tutto ma solo quel suono specifico: quando qualcuno ti sussurra qualcosa, ti avvicini con l'orecchio per catturare l'intensità e il valore delle parole; l'effetto non è lo stesso se stai lontano. Allora, se intenzionalmente voglio che si prenda tutto, per avere un effetto stereo per esempio, posso adoperare dei microfoni panoramici. Ma solo se lo ritengo necessario a questo fine. Tutto è comunque vincolato all'impianto di amplificazione che si ha a disposizione e all'ambiente dove si suona.

SM: Per finire il discorso, due parole sul rack.

PC: Attualmente è composto da un eco Yamaha D1500, un riverbero Rev 7, sempre della Yamaha, da un mixer Tascam a 20 canali e da due piccoli side monitor della Lem. Tutto questo per due head microfoni, uno radio della Shure e uno a cavo dell'Akg: nel mio modo di esprimermi la voce ha un ruolo importante, usata insieme agli strumenti la considero come una fonte di equilibrio. Molti pensano che io utilizzi chissà quali effetti elettronici, in realtà si tratta di giochi vocali del tutto naturali. Francamente ho un rapporto molto conflittuale con l'elettronica, ma è anche vero che mi diverto, quando tutto funziona, a giocare con lei. In questo periodo sto lavorando con il mio affidato tecnico ad assemblare un nuovo rack con macchine recenti tutte Lexicon, preamplificatore Focusrite per microfono voce, pedali di controllo etc.. Il lavoro che dura già da un anno e' quello di impostare le macchine ai suoni che a me piacciono e che comunque sia si riferiscano a quelli che sono abituato a frequentare in natura.

SM: Per concludere, diamo un rapido sguardo ai temi principali che affronti nei tuoi seminari.

PC: Il punto di partenza è la musica extraeuropea e la maniera di comprenderla: partendo dalla pulsazione - la chiave di lettura - passando alla descrizione degli strumenti, al loro nome specifico, ai materiali con i quali vengono costruiti, al modo in cui vanno usati. Tra un argomento e l'altro suono dei brani che fanno parte del mio concerto passando così all'approccio pratico allo strumento, come farlo parlare, come dialogare con lui. Un aspetto cui tengo molto sono le relazioni fra suono e rumore: si considera rumore ogni fenomeno sonoro indesiderato ma ci sono dei "rumori" che si possono usare benissimo musicalmente. E poi c'è il discorso sul silenzio, un concetto che mi appartiene e che fa parte della mia musica: rispettare il silenzio è fondamentale, il silenzio è musica, crea contrasto. E il contrasto vuol dire distanziare, evidenziare.

SM: Quindi la tua ricerca nel complesso verte sul timbro, sul colore, più che sul ritmo.

PC: Tutto è ritmo, ma non lo amo finalizzato a se stesso. Parlare di ritmo mi ricorda qualcosa di caotico. Il timbro e il colore hanno invece più a che fare con l'energia psichica, che comunque batte, pulsa. E siccome il lato psicologico, emotivo, mi ha sempre comandato nella vita in generale, ho cercato di trasportarlo anche in musica. In realtà, quando sono sul palco mi trovo benissimo, non mi sono mai sentito a disagio, ci sono sempre salito con un forte senso di responsabilità. Sul palco mi rilasso o per lo meno mi viene offerta la possibilità di farlo, cosa che magari non accade facilmente nella vita.

                                                                                                                                                                                                                                                 Roberto Valentino

Per ulteriori informazioni sull'argomento microfoni, vedi l'articolo di Peppe Consolmagno: "Come registrare le percussioni" pubblicato su SM Strumenti Musicali n.213 ottobre 1998.

 

 

(Giuseppe) PEPPE CONSOLMAGNO 
Strada Serre, 7 - 61010 Tavullia (PU), Italy, Tel/Fax: 0721 476230 - Cell. 3388650981 - e-mail: info@peppeconsolmagno.com 

 

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